L'equivalenza suona: la creazione sta al creatore, come l'opera alla legge ad essa immanente. L'opera cresce a suo modo, seguendo regole generali e onnivalenti, ma non è essa la regola, non ha a priori validità generale. L'opera non è legge, essa è al di là della legge. Come proiezione, come fenomeno, essa non è infinita: ha un principio e dei limiti; ma assomiglia alla infinità della legge, in quanto anche nella sua limitatezza i conti non riescono.
Arte come emissione di fenomeni, proiezione della causa prima iperdimensionale, similitudine di procreazione, presagio, mistero.

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L'iniziato intuisce il punto vitale originario, possiede un paio di viventi atomi e cinque mezzi figurativi viventi, ideali, elementari, e sa, ancora, d'una piccola zona grigia a partire dalla quale è possibile il balzo dal caos nell’ordine.
Egli presente la procreazione: sa abbastanza bene quel che deve essere il suo primo fare, muovere quelle cose al divenire e, lui stesso in movimento, renderle visibili; in esse restano tracce del suo movimento — ed ecco ’incantesimo della vita, e per gli altri l'incantesimo del vissuto.

La metalogica afferra il sorriso, l'occhiata, l'alito, tutti i tentennamenti tra bene e male. Certo, la ricerca dei fondamenti funzionali non si ferma, non ha sosta, e tuttavia oggi ancora di limiti ne ha abbastanza — forse grazie al cielo: perché alla soglia del mistero l'analisi si arresta imbarazzata. Ma è appunto il segreto dell'arte penetrare il mistero, figurandolo, fino al suo suggello.

 

dalla prima stesura di Esperienze esatte nel campo dell'arte, Teoria della forma e della figurazione p. 59-60