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Durante il frequente servizio di guardia al deposito di munizioni di Frottmaning, ho pensato spesso a Marc e alla sua arte. La ronda attorno ai magazzini era adatta a sprofondarmi oziosamente nelle mie meditazioni. Di giorno poi, la favolosa flora estiva attirava in modo particolare la mia attenzione sui colori e di notte e prima del sorgere del sole si stendeva sopra di me un firmamento, che attraeva il mio spirito nei grandi spazi.

Se dico chi è Franz Marc, devo confessare contemporaneamente chi sono io, poiché molto di ciò cui partecipo apparteneva anche a lui.

Egli è più umano, ama con più calore, con maggiore intensità. Si china con umanità verso gli animali. Li innalza a sé. Non si dissolve nel tutto, come fosse parte di esso, per potersi considerare poi alla stessa stregua, non solo degli animali, ma anche delle piante e delle pietre. In Marc l’idea del terreno prevale su quella dell’universo. Non dico che non avrebbe potuto evolversi in quest’ultimo senso. Ma allora mi domando: perché dunque è morto?

In lui predomina il faustiano, il non risolto. Sempre dubbioso, si domanda: è vero? Vede ovunque l'errore. Non ha la calma fiducia della fede. Spesso, negli ultimi tempi, ho temuto che sarebbe completamente mutato.

L’evoluzione del nostro tempo lo opprimeva, voleva che gli uomini lo seguissero, perché era ancora un uomo egli stesso e ancora lo affascinava la lotta. L’ultimo stadio, il bene come possesso comune, il mondo borghese, gli appariva invidiabile.

Io cerco soltanto presso Dio un posto per me, e se sono vicino a Dio non voglio presumere che anche i miei confratelli non debbano essere vicini a me. Ma questo dipende da loro.

Gli era proprio un bisogno femmineo di rendere ognuno partecipe della sua ricchezza. Che non tutti lo seguissero gli faceva dubitare di aver scelto la giusta via. Spesso avevo un penoso presentimento che, cessato il fermento del suo spirito, egli sarebbe ritornato alla semplicità terrena; non a vivere ai margini di questo mondo con intenzioni vaghe, ma ritornare del tutto in esso per amore del prossimo.

Il mio ardore rassomiglia più a quello dei morti o dei non nati. Non mi meraviglia ch'egli fosse amato di più I suoi nobili sentimenti gli cattivavano l’animo di molti. Marc aveva un carattere marcato, non era una natura apatica. Mi ricordo del suo sorriso quando al mio occhio sfuggivano momenti terreni.

L'arte è una creazione, il suo valore rimane immutato.

Alla mia arte manca forse un appassionato senso di umanità. Io non amo con terrena cordialità né gli animali né alcun altro essere inferiore. Non mi chino sino a loro, né li elevo a me. Mi dissolvo piuttosto prima nel tutto e mi metto poi su un livello di parità col prossimo, con tutto quanto mi circonda di terreno. Possiedo. In me l’idea del terreno cede di fronte all’idea dell'universale. Il mio amore è distaccato e religioso.

Il senso faustiano della vita mi è estraneo. Contemplo il creato da un punto di vista remoto, primigenio, secondo formule preconcette, che abbracciano a un tempo l'uomo, l'animale, la pianta, il minerale, gli elementi, tutte le forze operanti nell’essere. Mille problemi ammutoliscono, come se fossero già risolti. Non c’è per me né verità né errore. Troppe sono le possibilità, soltanto la fede vive in me, creando.

Emana calore da me? Freddezza? Al di là dell’incandescenza non se ne può far questione. E poiché non sono molti quelli che vi giungono, pochi sono coloro che ne sono tocchi. Non c’è sentimento, per quanto nobile, che mi accomuni ai più. L’uomo della mia opera non è specie, ma punto cosmico. Il mio occhio terreno vede troppo lontano e in tal modo le cose più belle gli sfuggono. Spesso si dice di me: «Egli non avverte le cose più belle».

Arte è sinonimo di creazione. Neanche Dio si è occupato dell’attualità contingente.