421. Una volta (già da bambino) interpretavo la bellezza di un paesaggio in un unico senso. Era uno scenario per gli stati d'animo. Adesso incominciano momenti pericolosi in cui la natura mi vuole sommergere. Allora non sono più nulla, ma ho la pace. Sarebbe bello per i vecchi, ma io . . . io sono debitore verso la mia Vita, perché ho fatto delle promesse. A chi? A me, a lei (con voce forte, ferma), agli uomini (sommessamente ma non con minore fermezza). Spaventato, balzo su dalla sponda, riprendo la lotta. L'amarezza mi afferra di nuovo. Io non sono Pan fra le canne, sono soltanto un essere umano che vuol salire di qualche gradino, proprio salire.

Operare, ma ‘non come una pluralità, come i batteri, bensì come unità, qui giù, in collegamento con lì sopra. Essere ancorato all'universale, qui giù estraneo, ma forte, questa sarà di certo la meta. Ma come giungervi? Crescere, anzitutto, semplicemente crescere.

Come esercizio, creare scopi, che per i più non sono tali, una specie di studio per gioco… A ciò ch’è più alto si arriva poi in modo più semplice, più facile.

La pace non esiste, il pacifico ha divorato se stesso (una sera nella Bächimatt presso Thun).