425.  22.6.1902. A ciò che mi era estraneo, a ogni trattamento conforme a ragione nel mio mestiere, comincio a dedicarmi ora, per necessità, almeno come tentativo. Mi sembra di diventare assai piccolo e concreto, privo di poesia e di vibrazioni. Cerco un insignificante motivo formale e ne tento la più semplice raffigurazione. Naturalmente non in teoria ma praticamente, vale a dire armato di matita. È almeno un'azione positiva e da piccoli atti ripetuti risulta qualcosa di più che da uno slancio poetico senza forma, senza figura. Sono impegnato sempre col corpo nudo, che a questo appunto si presta.

Proietto sulla superficie, vale a dire ciò ch'è essenziale deve diventare sempre visibile, anche se non sarebbe possibile in natura, che non è adatta a questo stile in rilievo. Vi ha pure una parte essenziale la mancanza di scorci. Tutto è piccolo e accostato, ma la mia è almeno un'attività concreta. Imparo ricominciando interamente dall’inizio, comincio a dare forma, come se fossi del tutto ignaro di pittura. Perché ho scoperto un dominio piccolissimo ma incontrastato: un modo particolare della rappresentazione tridimensionale sulla superficie.

E la sera posso coricarmi con la consapevolezza di aver fatto qualcosa.

Anche questo conta.

Un uomo in volo! La terza dimensione entra nella superficie. La posizione delle braccia, delle gambe. Mancanza di scorci.

Mi appare anche in sogno. Sogno me stesso di fronte al mio modello. Il mio io proiettato. Destandomi, riconosco la realtà. Giaccio in posizione complicata ma supino, tutto aderente al lenzuolo. Io sono il mio stile.