Opera postuma

Senza titolo 1940 cr9395 colori a colla su carta montata su cartoncino, coll. privata, Svizzera ©Peter Lauri, Bern

Senza titolo 1940 cr9395 colori a colla su carta montata su cartoncino, coll. privata, Svizzera ©Peter Lauri, Bern

Tragici accadimenti hanno portato violentemente alla mia memoria la vivida chiarezza di quest'opera: Senza titolo, dell'anno stesso della morte del maestro, il 1940.
Appartiene a una speciale categoria. Di quando in quando Klee ha evitato di registrare nell'Oevrekatalog alcune opere, duecentoventotto per la precisione, per riservarle a una catalogazione separata. Opere postume, le chiamava.

Come intendere questi lavori? Sono da collocare in un tempo che viene dopo la morte? Non proprio. Ricordiamoci, dapprima, che l'opera di Klee è da considerare come espressione di uno sguardo non vincolato al tempo terrestre. Il processo creativo kleeiano avviene al di fuori del nostro caro vecchio tempo scalare, che placidamente continua a scorrere sulle croste raffreddate dei pianeti. Gli elementi delle sue figurazioni vivono in un tempo già einsteiniano, plurimo, cosmico. 
Il tempo cosmico non prevede tanto un prima e un dopo, mette a fuoco un costante e immutabile attimo di passaggio dall'ieri all'oggi. Un attimo in cui tutto costantemente vive di equivalenze di energia, in sempiterna mutazione ma espressione di assoluta unicità. Infinito presente è il tempo che si addice alla grammatica di Klee.

Colpisce quindi questa definizione: postume. Il significato non è tanto da intendersi come "dopo morto" quanto piuttosto con "una volta abbandonato il corpo fisico". Avendo a che fare con Klee siamo abituati a confrontarci con un individuo che ha definitivamente scelto per una parte definita dell'essere, con qualcuno che sta bene tra i morti come tra i non nati
Può evidentemente accadere che nel procedimento di genesi dell'opera, descritto con precisione nello schema delle vie alla percezione, egli escluda i valori espressi dalla comune appartenenza allo spazio terrestre e si trovi a elaborare esclusivamente con le energie provenienti dal campo della comune appartenenza cosmica tra sé stesso e il soggetto. Non proprio una visione post mortem, quindi. Piuttosto uno sguardo attinente a tutto ciò che nell'essere ha una dinamica propria una volta che si escluda tutto ciò che perviene dal corpo mortale.

L'opera che esaminiamo oggi, appartenente appunto alla categoria Opera postuma, è uno sguardo sorprendente nella sua chiarezza spavalda.
Non vi è campo gravitazionale, non vi sono emozioni o sentimenti. L'essere è rappresentato nella sua pura valenza energetica.

Una linea decisa e irrefrenabile registra la tensione del punto, che si mette in movimento nella direzione nella quale la risultante delle forze è preponderante. Quella che entra nel quadro dal lato sinistro è un'energia indomita.
Aveva deviato, sulle prime, verso l'alto, poi tale impulso è terminato.
Qualcosa si è rimesso in movimento, con un orientamento simile a quello originario, tra le gambe, in corrispondenza del punto di applicazione dell'energia di Eros, animato dalla stessa forza che un tempo ha dato vita alla forma umana.

Non più, ora: la presenza di un teschio vuoto, sul punto di cadere dal collo, dagli occhi spenti, è chiaro segno che quel tempo è ormai passato.

Tutto si svolge in un ambito di astrazione pura, un campo di esistenza che coincide con le dinamiche del cosmo, dove il movimento è potenzialmente infinito.
La luce resta sostanza propulsiva di questo moto, poiché è di essa che è fatta la linea. Ed è un occhio aperto il fronte avanzato della corsa del punto. Klee non ha la visione di una corsa cieca quanto piuttosto di un moto alimentato ancora dall'infinita danza della luce nel gioco delle forme, e la musica per questa danza non è più melodia ma ritmo puro, un ritmo i cui battiti scorrono ai piedi della figura, annotati come rapidi rintocchi scuri. Colpi di timpano.

Dedicato a Lionel Joubaud.

Fu un'acqua seducente ad attrarmi nei suoi gorghi vorticosi. Ma come è travolgente la violenza della corrente. Passando, mi chiamano i vecchi dolci luoghi dove ho dimorato, dove la notte ascoltavo la canzone della cicala, solo, in pace, sotto il sambuco dall'alito profumato. Uomini tristi vedo sulla sponda. Ma io mi reggo sopra le onde, forte e fresco di corpo e di spirito. Sfocerò con la grande corrente.
Voglio sfociare con essa.

Diari, n. 179

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Pianista in miseria, foglio umoristico, caricatura della nuova musica

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Un angelo porge ciò che è desiderato